mercoledì 18 aprile 2012

FLAIANO ENNIO. TEMPO DI UCCIDERE.

"Io sono antichissimo e mi reputo immortale, non per vincere il timore della morte, ma perchè ne vedo la prova in queste montagne e in questi alberi, negli occhi di questa donna che ritrovano i miei dopo una lunga assenza".

"....la piazza che già si andava chiudendo come un fiore e ci inghiottiva nella sua struggente tristezza: perchè il giorno laggiù moriva davvero e la parola domani era la più inutile delle ipotesi. Non si accendevano lampade, nè il passeggio infittiva, nè le scritte luminose chiamavano la folla nei caffè, nelle strade, nei teatri. Pensavo alla luce delle nostre strade, alla pioggia che la moltiplica, alle fontane, ai giornalai che strillano l'ultima edizione, alle automobili che vi sfioravano e al sorriso che si coglie di colpo negli specchi di una vetrina.."

"La sera cedeva alla notte e, puntuale come un pipistrello, la malinconia ritornava, stavolta senza scampo".

"Oltre il ponte urlavano gli sciacalli, eppure il giorno si stava annunziando. Dirimpetto, oltre il ciglio emergevano le tetre montagne della regione dove, a distanza di cento e più chilometri l'uno dall'altro, piccoli conventi ospitano persone che vanno là a cercare soltanto la solitudine. Probabilmente, una solitudine diversa da quella che ci rende tristi nelle città, e ci spinge nelle strade, nei caffè, nei teatri, per confortarci al calore di un'umanità altrettanto triste. Ma possono vivere, sotto quel cielo che chiude l'orizzonte come un sipario e tra quelle nere montagne di basalto che a primavera fioriscono?"


da "Tempo di uccidere" di Ennio Flaiano.

lunedì 2 aprile 2012

IL PROCESSO. KAFKA.

Una mattina Josef K.. impiegato di banca si sveglia e viene turbato dalla presenza di alcune persone che bussano alla porta della sua stanza, in maniera piuttosto arrogante ed invadente, per avvertirlo del fatto che, da quel momento, è in corso in processo contro di lui.

Non sarà portato in galera, ma dovrà sottoporsi a processi e interrogatori nei luoghi più impensati, come solai e soffitte alquanto claustrofobiche, potendo contemporaneamente continuare la sua vita e lavorare in banca.

Quello che colpisce maggiormente è l’impossibilità di arrivare al motivo di tale accusa, l’inaccessibilità al senso del Processo indetto ai danni di K.

“…essendo sconosciuta l’accusa e le sue possibili estensioni, si rendeva necessario rievocare l’intera sua vita, in ogni sua minima azione e avvenimento, esporla e riesaminarla da ogni suo lato.”

L’accusa, quindi, non è specificata ed il povero ed ignaro Josef K. Sembra essere colpevole solamente di esistere e di una sorta di pacata indolenza all’azione.

La vanità degli sforzi per risolvere una questione per niente chiara è evidente e si accosta inevitabilmente all’idea, presente dentro ogni essere umano, di vivere solo senza conoscere il proprio destino e mai completamente tranquillo.

Gli imprevisti attendono dietro l’angolo anche il più cauto calcolatore, poiché si è tutti in balia di un destino bizzarro e dagli umori altalenanti.

Questa condizione viene ribadita successivamente, quando K. viene informato del fatto che, una volta finito sotto processo, non potrà mai ottenere l’assoluzione definitiva.

“…non ho mai conosciuto una sola assoluzione vera.”

Questa triste consapevolezza rende il traguardo più vano ed il futuro coperto da un’ombra opaca.

K. si sente in gabbia, pur non essendolo fisicamente. Le circostanze intorno a lui, però, sono spesso claustrofobiche e soffocanti.

“…l’impressione di essere del tutto isolato dall’aria gli diede il capogiro.” (a casa del pittore Titorelli, probabile personaggio chiave per l’assoluzione del povero accusato ingiustamente, grazie a certe conoscenze nell’ambiente giudiziario).

L’avvocato a cui si rivolge per ottenere l’aiuto necessario è un uomo costretto a letto che, più che un aiuto serio, è capace solo di perdere tempo e divagare.

Il Tribunale diviene talmente distante da rendere la vicenda assurda e la ricerca di un senso completamente vana.

Il Processo potrebbe essere una più ampia metafora della vita e dell’incapacità di esserne completamente padroni.