mercoledì 18 aprile 2012

FLAIANO ENNIO. TEMPO DI UCCIDERE.

"Io sono antichissimo e mi reputo immortale, non per vincere il timore della morte, ma perchè ne vedo la prova in queste montagne e in questi alberi, negli occhi di questa donna che ritrovano i miei dopo una lunga assenza".

"....la piazza che già si andava chiudendo come un fiore e ci inghiottiva nella sua struggente tristezza: perchè il giorno laggiù moriva davvero e la parola domani era la più inutile delle ipotesi. Non si accendevano lampade, nè il passeggio infittiva, nè le scritte luminose chiamavano la folla nei caffè, nelle strade, nei teatri. Pensavo alla luce delle nostre strade, alla pioggia che la moltiplica, alle fontane, ai giornalai che strillano l'ultima edizione, alle automobili che vi sfioravano e al sorriso che si coglie di colpo negli specchi di una vetrina.."

"La sera cedeva alla notte e, puntuale come un pipistrello, la malinconia ritornava, stavolta senza scampo".

"Oltre il ponte urlavano gli sciacalli, eppure il giorno si stava annunziando. Dirimpetto, oltre il ciglio emergevano le tetre montagne della regione dove, a distanza di cento e più chilometri l'uno dall'altro, piccoli conventi ospitano persone che vanno là a cercare soltanto la solitudine. Probabilmente, una solitudine diversa da quella che ci rende tristi nelle città, e ci spinge nelle strade, nei caffè, nei teatri, per confortarci al calore di un'umanità altrettanto triste. Ma possono vivere, sotto quel cielo che chiude l'orizzonte come un sipario e tra quelle nere montagne di basalto che a primavera fioriscono?"


da "Tempo di uccidere" di Ennio Flaiano.

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