lunedì 2 aprile 2012

IL PROCESSO. KAFKA.

Una mattina Josef K.. impiegato di banca si sveglia e viene turbato dalla presenza di alcune persone che bussano alla porta della sua stanza, in maniera piuttosto arrogante ed invadente, per avvertirlo del fatto che, da quel momento, è in corso in processo contro di lui.

Non sarà portato in galera, ma dovrà sottoporsi a processi e interrogatori nei luoghi più impensati, come solai e soffitte alquanto claustrofobiche, potendo contemporaneamente continuare la sua vita e lavorare in banca.

Quello che colpisce maggiormente è l’impossibilità di arrivare al motivo di tale accusa, l’inaccessibilità al senso del Processo indetto ai danni di K.

“…essendo sconosciuta l’accusa e le sue possibili estensioni, si rendeva necessario rievocare l’intera sua vita, in ogni sua minima azione e avvenimento, esporla e riesaminarla da ogni suo lato.”

L’accusa, quindi, non è specificata ed il povero ed ignaro Josef K. Sembra essere colpevole solamente di esistere e di una sorta di pacata indolenza all’azione.

La vanità degli sforzi per risolvere una questione per niente chiara è evidente e si accosta inevitabilmente all’idea, presente dentro ogni essere umano, di vivere solo senza conoscere il proprio destino e mai completamente tranquillo.

Gli imprevisti attendono dietro l’angolo anche il più cauto calcolatore, poiché si è tutti in balia di un destino bizzarro e dagli umori altalenanti.

Questa condizione viene ribadita successivamente, quando K. viene informato del fatto che, una volta finito sotto processo, non potrà mai ottenere l’assoluzione definitiva.

“…non ho mai conosciuto una sola assoluzione vera.”

Questa triste consapevolezza rende il traguardo più vano ed il futuro coperto da un’ombra opaca.

K. si sente in gabbia, pur non essendolo fisicamente. Le circostanze intorno a lui, però, sono spesso claustrofobiche e soffocanti.

“…l’impressione di essere del tutto isolato dall’aria gli diede il capogiro.” (a casa del pittore Titorelli, probabile personaggio chiave per l’assoluzione del povero accusato ingiustamente, grazie a certe conoscenze nell’ambiente giudiziario).

L’avvocato a cui si rivolge per ottenere l’aiuto necessario è un uomo costretto a letto che, più che un aiuto serio, è capace solo di perdere tempo e divagare.

Il Tribunale diviene talmente distante da rendere la vicenda assurda e la ricerca di un senso completamente vana.

Il Processo potrebbe essere una più ampia metafora della vita e dell’incapacità di esserne completamente padroni.


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